Appunti di Storia moderna

venerdì 25 settembre 2015

Sul ricatto narrativo dei buoni sentimenti

Caro lettore,
ho deciso di rispondere alla tua mail, così, pubblicamente (non so se conosci quella storia, di punirne uno per educarne cento). Prendo la tua capziosa mail come pretesto per togliermi un sassolino che ho incastrato nella scarpa da tempoStavo stravaccata sul divano senza alcun meglio specificato desiderio di essere operativa, anzi sprofondando nella migliore inutilità serale che ti rinfranca da una giornata pesante, ed ecco che apro la mail e leggo una cosa che mi ha strappato subito una risata. Dice: 
"come sopravvivere a tanto decostruzionismo?". 

Senza ciao, senza ehi mi presento, senza nemmeno un insulto. Così, a bruciapelo. Chissà, forse preferisco questo approccio a quelli che mi scrivono dandomi del Lei e firmandosi "Avv.", o a quelli che mi chiedono se per favore posso recensire il loro libro sulla metafisica trascendentale stampato su ilmiolibro.it. 
Ti immagino quando hai aperto questa pagina, magari cercando su google "essere asociali" o "pezzo di torta" o "siete tutti stronzi" e sei capitato qui, nel mio blog, trovandolo un po' démodé, rigorosamente inattuale, certo palloso e pieno di ampollosità esistenziali. Neanche un post di ricette, neanche un post su come trovare la ragazza ideale in 5 mosse, neanche un articolo di kultura ben fatto, di quelli che si scrive per accreditarsi nella cerchia degli intellettuali che contano. Hai letto che ce l'ho con tutti, che in pratica l'opera omnia di tanti anni di attività di blog può essere sintetizzata nell'unico sottotesto: "comunque siete tutti stronzi, eh. Me compresa". Quindi ti sei chiesto la stessa cosa che mi chiedono quando parlo male della città in cui sono nata, di un autore che ho letto, della società attuale, del governo, del futuro che attende le nuove generazioni eccetera: "senti, scusah, ma...LA PROPOSTAH? QUAL E' LA TUA PROPOSTAH?!?!? SE TUTTO E' NEGATIVO...COSA CI RIMANEH? NOCCIOE'".
Ecco, ora immagina un sorriso pieno di comprensione per le incertezze dell'umano medio allargarmisi sgraziatamente in viso. 

Il mio compito non è redimere l'umanità. Non ho nessuna missione. Questa non è una parrocchia, e io non sono una politica. Non vengo pagata per ideare riforme, per decidere come redistribuire le risorse pubbliche e quali fazioni accontentare, e non vengo pagata per dire ai fedeli che dopo la morte tutto andrà meglio e che se soffrono è perché c'è una ragione superiore. Per questo ci sono già i pastori di anime, che hanno il compito di dare un senso alle vite di chi non ne trova uno da sé, attraverso narrazioni confortanti che scaldano il cuore, che impongono al disordine e all'insensatezza una direzione, e le direzioni, si sa, sono più simpatiche dello smarrimento. Non ho nulla contro chi ha bisogno di queste narrazioni: semplicemente, pluralisticamente, auspico che ciascuno possa scegliere come raccontarsela, senza che altri gli usi del paternalismo a riguardo. 
Ebbene io dunque deontologicamente non sono tenuta a tutto questo. Chiunque mi ponga quelle domande testimonia allora di un fraintendimento a monte: pensano che io sia tenuta a edificare, o, peggio, che ci sia un obbligo narrativo generale, che prescrive a tutti di mostrare il lato piacevole della medaglia, in pratica di adottare il registro narrativo dei PowerPoint di Renzi quando illustra le riforme. 

Il ricatto narrativo è un tipo particolare di estorsione. Il ricatto narrativo è il fruitore che ammonisce e che chiede una morale. La narrazione è investita implicitamente di una missione, di una didascalia. La narrazione deve redimere o edificare; trasmettere, in ogni caso, un messaggio che dia conforto. Altrimenti non è una buona narrazione e il fruitore la rifiuta. L'autore è tenuto, in questo contesto, a scimmiottare qualcosa di assimilabile alla cosiddetta "anima bella". L'anima bella è notoriamente quell'entità ontologica che sublima il proprio super-io, il proprio ideale di sé connotato in termini di bellezza dell'anima, spacciandolo per il suo io reale. La "bontà" eteronoma (cioè funzionale all'approvazione altrui), i "buoni sentimenti" estetizzati, sono di casa nell'anima bella. Questa ha per definizione orrore delle contraddizioni, delle ambiguità, quindi della realtà. La realtà è un pretesto per estetizzare moralmente il proprio narcisismo. Cosa c'è di più insopportabilmente ipocrita dell'anima bella?
Risposta: il testo che si asservisce al ricatto narrativo dei buoni sentimenti. Non è un buon testo se non mi redimi. Non è un buon testo se non c'è "il positivo". In caso contrario, abbiamo delegittimazione, eccetera. 

Tuttavia. Ammettiamo per esempio che io voglia sobbarcarmi la missione redentiva. Ammettiamo che io voglia davvero migliorare l'umanità. Ebbene, dirle le cose come stanno sarebbe la cosa più utile che potrei fare a tale scopo. Non è dicendo alla tua amica che il suo pessimo romanzo nel cassetto è veramente straordinario che potrai aiutarla a diventare una brava scrittrice. E' dicendole che il libro è brutto e va migliorato che potrai farlo. Non è raccontandoci favole che renderemo la nostra esistenza migliore. Certo le illusioni sono fondamentali (vedi Leopardi), ma ho già detto di preferire le illusioni consapevoli, quelle scelte e che ci si è sudate solo dopo un radicale disincanto, alle illusioni senza disincanto: quelle sono una truffa. E io non voglio farmi coinvolgere in questo ricatto narrativo generale, che impone la redenzione delle umane genti tramite narrazioni finto confortanti.
La questione mi sta a cuore perché il ricatto narrativo nuoce gravemente alle rappresentazioni che ci facciamo dello status quo e quindi del suo possibile cambiamento. Politicamente, perché cambiare qualcosa, se va già bene? Cosa c'è di più conservatore di un simile approccio? Per dire che va tutto bene e che questo è il migliore dei mondi possibili c'è già la propaganda. Perché dovrei fare della propaganda? 

Non solo non ho scopi missionari, ma quando scrivo non ho scopi tout court, almeno: non ho scopi diversi dal soffermarmi un attimo su una certa questione che ho il desiderio di afferrare per ritardare il momento in cui essa mi sfuggirà del tutto di mano. Aggiungiamo che le cose belle non sento il bisogno di raccontarle, perché quelle mi basta viverle o nel peggiore dei casi sentirle già santificare dalla maggior parte delle persone, o dai cartelloni pubblicitari. Sono le contraddizioni che mi spingono a scrivere, le cose che non vanno per la direzione attesa, lì sento il bisogno di fermarmici - per quanto negli ultimi mesi non stia quasi scrivendo più nulla (certa che l'universo se ne farà una ragione). 
Quanto alla sopravvivenza: ah, beh, questo è un problema tuo. Se per sopravvivere ti servono le narrazioni  confortanti, ci sono un sacco di religioni là fuori pronte ad aiutarti. Per carità, capisco che è dura. Io stessa non posso soffrire il principio di realtà e detesto l'idea di crescita che esso sottende. Ma preferisco sopravvivere consapevole che non è tutto rose e fiori e godermela di più proprio per questo, perché lo so e ciò mi fa apprezzare meglio quello che va bene. La vita è assurda ed è a partire da questo che può nascere la rivolta (Camus). Altrimenti, mi chiuderei in una campana di vetro a guardare le prime serate di Rai1 per tutta la vita, scambiandole per la realtà. 

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